Di Andrea Becca
“La forza non dipende dalla capacità fisica; la vera forza si sprigiona da una volontà indomabile”.

 

Questa massima scritta dal Mahatma Gandhi ben si adatta a Marco Morabito.

Morabito è un uomo in apparenza mite, semplice, preciso e garbato nell’eloquio. Il suo sguardo è deciso e onesto, i suoi modi educati e dolci. Nessuna ostentazione del suo corpo, nessun tatuaggio appariscente, nessun simbolo aggressivo. Coppe, medaglie, riconoscimenti di ogni genere, sono tenuti in disparte. Umile ed elegante, Morabito si presenta nella simpatia di un carattere determinato e preciso. Difficile immaginare che Marco Morabito sia un maestro in moltissime discipline marziali. Le sue competenze vanno dal Karate giapponese (scuola Shotokan e scuola Shito Ryu) alla Box Francese Savate, dal Kung Fu cinese alla Kick Boxing. Morabito è uno dei più richiesti professionisti nel settore della difesa personale. Questo maestro insegna in una palestra frequentata – oltre che da persone comuni – dalle forze dell’ordine, militari e operatori dedicati alla sicurezza. È stato consulente per l’addestramento militare e paramilitare di forze speciali anti-sommossa e anti-terrorismo. Morabito è oggi un vertice importante nel suo settore, continua a essere premiato per i suoi successi professionali in tutta Europa ed è il solo maestro italiano riconosciuto a livello mondiale per alcune discipline marziali e sistemi di difesa personale. Non è facile che Marco si apra raccontando la sua vita, ma abbiamo ripercorso insieme alcune tappe della sua carriera. Così gli abbiamo chiesto quali siano stati i suoi sia esordi, quale sia stata la molla che abbia fatto scattare questa passione e come abbia cominciato a praticare le arti marziali.

Morabito: gli esordi

“Ricordo con grande tenerezza” ci ha detto Morabito, “una figura nella mia infanzia. Mio zio era un boxeur e amava giocare con me quando avevo cinque anni. A quell’età ero affascinato dai movimenti di questo adulto che occupava il suo tempo spiegandomi i rudimenti dei colpi base e delle parate. Amavo quei momenti della sera in cui, lui – grande e grosso – fingeva di combattere con me mettendomi sul tavolo della cucina per farlo sembrare un combattimento a pari livello. Forse è stato lì che ho cominciato a capire che la mia forza non era nelle mie braccia, ma nella voglia di non arrendersi mai, nell’accettare la sfida anche quando sembra impossibile da affrontare. Direi che in quei primi momenti, ho sentito la mia vera forza, quella del mio spirito”.

Qual è stata la prima arte marziale che ha praticato?

“Quando eravamo ragazzi, non c’era una grande scelta.” Ci ha risposto Morabito, “Ho cominciato in una palestra di Kung Fu. Influenzato dai film di Bruce Lee, ho cominciato a sviluppare questa passione per il combattimento. In quei primi giorni, dopo gli allenamenti mi ritrovavo con un pugno di amici in un box per provare, rivedere e studiare nuove mosse. A dire il vero studiavamo più da autodidatta che da bravi allievi. ” Marco si allena moltissimo in palestra in sessioni di 20 ore alla settimana. Un’abitudine che non ha perso nemmeno oggi, una passione che gli consente un’energia straordinaria anche per un atleta della sua preparazione. “Oltre alle difficoltà legate alle forme, ” ha continuato a spiegarci Marco, “mi rendevo conto delle lunghe tempistiche di apprendimento connesse alle arti marziali come il Kung fu. Questa disciplina cinese favorisce posture derivate dal comportamento di animali, come la mantide religiosa ad esempio, che sono lunghe da apprendere nella naturalità del loro svolgimento. Inoltre, sono utilizzate delle armi classiche molto belle, ma del tutto obsolete come l’alabarda. Anche da ragazzo mi rendevo conto di questi anacronismi e di queste difficoltà. Così ero alla ricerca di qualcosa di più, pur avendo raggiunto ottimi livelli. ”All’epoca l’attività più diffusa era sicuramente la boxe che veniva insegnata in diverse palestre. Però è stata la boxe francese, ovvero la Savate ad appassionarmi maggiormente e a spingermi a provare nuove tecniche e nuovi stili di combattimento. Con questa preparazione atletica e psicologica, mi sono avvicinato anche al Kick boxing di origine americana. Ho, infine, confrontato questi stili con la Thai boxe di origine tailandese. Non sono una persona che lascia a metà le cose: in tutte queste discipline ho cercato di raggiungere il miglior livello possibile e di gareggiare con i migliori maestri del momento. Ma la cosa più importante, penso, è l’esperienza che ne ho ricavato dall’entusiasmo infaticabile che avevo allora. “Sempre nello stesso periodo, riuscii a iscrivermi a un corso di Karate stile Shotokan. Avevo già molta esperienza in combattimento e in tecniche di autodifesa. Grazie a queste conoscenze sono riuscito a diventare cintura nera e a ottenere il primo Dan. In quegli anni la mia sete di conoscenza non sembrava placarsi. Così mi sono avvicinato all´Escrima, uno stile conosciuto anche come Kali o Arnis de Mano, ovvero un sistema di lotta filippino che - unito alle altre tecniche - mi sembrava un sistema di combattimento più efficace.”.

Cosa l´ha portata a criticare la sua preparazione?

In Francia, vicino a Marsiglia, mi sono trovato a sostenere una serie di combattimenti. Si trattava di match con tecniche miste. Il terzo incontro mi fu fatale. Per la stanchezza non riuscii a schivare una bastonata che mi battezzò direttamente sulla fronte. Si tratta di un´esperienza che mi "segnò" sia fisicamente, sia psicologicamente. Fisicamente mi costrinse a curarmi un grosso bozzolo sulla fronte; psicologicamente mi spinse a cercare altre tipologie di lotta che preparassero a un combattimento moderno e ricco di colpi sporchi o imprevisti.”.

Quali altri tipi di arti giapponesi conosce?

"Oltre al Karate tradizionale, ho studiato con il fondatore di uno stile moderno chiamato Koroho, ovvero il maestro Yokoyama Masashi. Questo maestro gode di una grande considerazione nel suo paese. Discendente di una nobile tradizione familiare nell´arte del Karate, Yokoyama si è contraddistinto per aver superato le tecniche tradizionali dando un´impronta del tutto particolare al suo stile di combattimento. Nella sua pratica, i colpi classici sono sviluppati con nuove forme adattate alle esigenze imposte dalle armi moderne ed elaborate dagli stili di combattimento israeliano. Questo maestro è diventato famoso in Giappone per un episodio specifico: aver salvato la vita a un alto esponente del governo nipponico in missione all´estero avendo disarmato e ucciso un aggressore armato. Dopo aver praticato con lui, ho organizzato un suo viaggio a Genova, dove è venuto con sette suoi maestri in modo da gettare le basi per la fondazione della Federazione Europea di Koroho In questa federazione sono stato vice presidente per un certo periodo”.
La ricerca di questo maestro è continua e non si è lasciata limitare, nel corso del tempo, dai successi avuti come combattente. Morabito cercava uno stile che fosse semplice da imparare e anche efficace. Prova allora molte discipline fino ad approdare a un tipo di combattimento molto particolare: il Krav Maga.

Cos’è il Krav Maga?

“Il Krav Maga è un sistema di tecniche di combattimento e sopravvivenza nato in Israele nella prima metà del XX secolo grazie ad un ufficiale dell´esercito, Imi Lichtenfeld, esperto in tecniche di lotta occidentali.

Cosa l’ha colpito del Krav Maga?

“Notai subito che si trattava di uno stile di combattimento adatto a tutti” ci ha spiegato Morabito “e di grande efficacia. Le sue tecniche si adattavano bene al movimento naturale del corpo umano e la sua filosofia è interessante. Infatti, a differenza delle altre arti marziali che si limitano spesso a essere difensive, il Krav Maga prevede un approccio offensivo. Le tecniche marziali orientali tendono a rimanere in attesa della prima mossa dell’avversario e a sviluppare successivamente delle risposte di attacco. Con il Krav Maga, invece, si anticipa l’attacco a favore di una vittoria rapida puntando sui punti vitali dell’avversario”.

Come sono stati i suoi esordi nell’apprendimento di questa disciplina?

“Il primo addestramento all’uso di questa disciplina non l’ho svolto in Italia.” Ci ha raccontato Morabito, “e non è stato per nulla facile essere ammesso al corso. Infatti, ero stato prima sottoposto a una serie di prove fisiche piuttosto pesanti. È facile comprendere che questi allenamenti non presentano aspetti “teorici” o “filosofici”, ma erano di stampo militare basati sulla resistenza fisica e psicologica. Nel primo scontro mi sono rapidamente accorto di non essere in grado di fare nulla, o quasi, nonostante la mia preparazione. Non solo ero in difficoltà con le tecniche, ma anche da un punto di vista mentale non era per niente facile approntare una difesa di una certa rilevanza.”Posso dire che nel primo scontro sono stato letteralmente “annientato”. Quello che all’epoca era stato uno choc, oggi lo riconosco come un passaggio importante per la mia crescita che ho poi sviluppato con grande consapevolezza.”

Cosa è scattato in quella prima prova?

“Ho capito che quella disciplina aveva aspetti eccezionali: era semplice da apprendere, veloce e, soprattutto, incredibilmente efficace.

Quale tipo di vantaggio si ottiene da un addestramento simile?

“Come in tutti gli addestramenti di Krav Maga lo scopo è quello di essere preparato in qualsiasi situazione. Purtroppo chi viene affrontato in strada non può pretendere che il suo aggressore rispetti le regole cui ci si abitua nelle palestre. Raramente i pugni che si affrontano sono portati con eleganza su traiettorie ordinate. È molto più facile che si tratti di un colpo sporco scagliato con la violenza della paura e della cattiveria della sopraffazione. Non solo. Può essere portato con un’arma improvvisata, una bottiglia o un sasso. Oppure si può ricevere l’aggressore in una situazione ambientale particolare. Ad esempio, si può subire un assalto essendo seduti in auto, oppure all’interno di uno spazio angusto come un bancomat “.

Ha appreso anche altre tecniche di combattimento?

“Sì, dopo aver fatto addestramenti di varia natura, sono approdato al Kapap. Se il Krav Maga era un’arte marziale per civili e militari, il Kapap era stato ideato solo per i reparti militari di elite. Del resto non si tratta solo di un sistema, ma di una miscela di rigorosi condizionamenti fisici, con addestramento con armi da fuoco ed esplosivi, allenamenti alla sopravvivenza e persino di insegnamenti di pronto soccorso avanzato. L´addestramento al combattimento a mani nude è una combinazione dei sistemi occidentali di combattimento come la boxe, la lotta greco-romana e l´addestramento militare britannico del coltello e del bastone. Nel Kapap mi sono addestrato dal 2005 con un maggiore dei corpi d’élite dei servizi segreti israeliani. Questo ufficiale non insegnava al grande pubblico, ma solo a diciotto persone: io ero una di quelle. Si tratta di una preparazione molto tecnica; in alcuni aspetti assimilabili al Systema russo – anche se diverso – molto settoriale con molte più armi. Molti addestramenti avvenivano con armi da fuoco. Ciò che ho imparato è che con un certo condizionamento mentale puoi fare quello che vuoi. Il freno del corpo è la mente”.

Quanti incontri di Kapap è riuscito a vincere?

"Vediamo di chiarire bene questo punto. Il Kapap non è pensato per essere un gioco, né un´arte elegante. Pertanto, non ci sono gare o campionati. Gli scontri durano attimi e nulla hanno a che fare con simulazioni o esibizioni spettacolari. Gli addestramenti si eseguono sotto stress, spesso simulando ferite o gravi impedimenti nei movimenti. Ad esempio, si combatte spesso con un braccio legato oppure ammanettati. In questa disciplina si impara a combattere per la vita, non per una medaglia o una cintura."

Che cosa intende per "combattere per la vita"?

Significa che non basta soddisfare il proprio ego, non basta sentirsi il più forte, il vincitore. Occorre conoscere i rischi e mettere in atto tutte le strategie di difesa per salvare la propria vita: strategie che possono andare dal semplice "chiedere aiuto urlando al fuoco", alle più sofisticate tecniche di disarmo.

Torniamo ai suoi addestramenti. Come è approdato alle tecniche di difesa russe?

“Durante uno di questi campi di addestramento, ho incontrato un istruttore che proveniva dalla Georgia, ex Unione sovietica. Avevo subito notato l’efficacia dei suoi colpi e gli ho chiesto di praticare intensamente insieme. Per due giorni interi non sono riuscito a capire quale tipo di strategie e comportamenti stesse utilizzando. Vedevo azioni che erano completamente diverse e faceva cose che non rispecchiavano alcuna tecnica marziale a me nota. La comprensione non era solo ostacolata dalla lingua, ma anche dal carattere di questa persona che – essendo particolarmente introversa – non faceva trapelare nulla in merito alla sua preparazione, alla sua storia o alle sue emozioni. L’unico punto di incontro erano i nostri… scontri. Infatti, combattendo con lui riuscivo rapidamente ad apprendere le sue tecniche e le sue movenze. Solo in questo modo sono riuscito a conquistarmi la sua stima e la sua disponibilità a insegnare. Solo a questo punto mi disse di cosa si trattava di un sistema russo perfezionato dalle guardie del corpo di Stalin. Il suo nome era: Systema. In questo “Systema” non esistevano tecniche, forme particolari come nei “kata” del karate, ma si trattava solo di un sistema di difesa adatto per il corpo umano. Nelle arti marziali ci si allena con tecniche, movenze e spostamenti di base. Nel Systema russo prima di tutto c’è il corpo del praticante; qui si diventa esperti nei colpi base per poi allenarsi con un sistema analitico e pragmatico basato sulla riflessologia, sulle fattezze, sulla gestione del combattimento a livello biomeccanico. Spiegato in questo modo è però molto più difficile rispetto alla semplicità della sua pratica. Vedere per credere.”

Come è nato storicamente il Systema?

“Come in tutte le vicende russe, la segretezza imposta dai governi sovietici durante la guerra fredda non aiuta a tracciare un quadro chiaro della storia di questa disciplina. Probabilmente, si tratta del perfezionamento di antiche tecniche di combattimento dei Bogatyr, ovvero dei mitici cavalieri erranti vissuti durante il periodo medioevale. Il fatto che dovessero affrontare molte tipologie diverse di nemici in un territorio che presentava situazioni climatiche estreme, ha reso leggendario la loro belligeranza. Certo, durante la guerra fredda, i comandi russi avevano sentito l’esigenza di studiare scientificamente un approccio marziale in un sistema fondato sulla biomeccanica dell’uomo perfettamente reale. Quindi un approccio non più elaborato sulle movenze degli animali come, ad esempio, avviene per il Kung Fu. La guardia scelta di Stalin praticava il Systema che, alla morte del dittatore, è stato poi insegnato anche agli altri corpi militari. Solo con la caduta del muro di Berlino, tuttavia, ha potuto diffondersi anche da noi. In particolare, sono stato molto recettivo anche perché non mi sono mai occupato di politica. Lo dimostra il fatto che ho appreso tecniche di combattimento sviluppato su fronti opposti. Le mie ricerche sono, del resto, una passione che supera le barriere geo-politiche.

Quali altre tecniche ha scoperto in Russia che è riuscito ad approfondire?

“Negli ultimi viaggi che ho fatto, sono stato messo in condizione di praticare con alcune frange dei reparti speciali chiamate Spetsnaz. Questi corpi militari sono stati pensati durante il periodo di Stalin per affrontare le nuove modalità di guerriglia e gli scontri non convenzionali. Qui ho avuto modo di scoprire l´uso di un particolare tipo di coltello che, se lanciato con una certa perizia, ha una velocità pari o maggiore a quella di un proiettile e una precisione altrettanto accurata. Anche grazie a queste conoscenze sono stato in grado di sviluppare un mio stile particolare di combattimento che ho chiamato Systema Morabito, dove ho ottimizzato alcune tecniche derivate dal Systema russo sommandole con altre apprese durante le mie esperienze nel settore civile e militare."

Quali sono state le sue soddisfazioni più intense nel suo lavoro di insegnante?

“Posso citare il caso del mio allievo più giovane: un ragazzo di 16 anni, incapace di difendersi e così timido da non essere in grado di dire il proprio nome ad alta voce davanti agli altri. Vederlo oggi, dopo quattro anni, come affronta a testa alta gli altri istruttori e come gestisce il gruppo composto da persone più adulte di lui. Oppure, ricordo volentieri il mio allievo più anziano: un uomo di 88 anni!

Quale tipo di riconoscimento può vantare in queste discipline?

“Il Krav Maga, così come le arti marziali orientali, si organizza secondo una gerarchia meritocratica. Per quanto mi riguarda, dopo aver raggiunto vari riconoscimenti in Israele, ho poi modificato le tecniche apprese fondando il Krav Maga Israeli Survival System. Si tratta di una naturale evoluzione delle tecniche da difesa prevista proprio dall’ideatore del Krav Maga. Difatti, Lichtenfeld aveva esplicitamente previsto che le tecniche evolvono così come evolvono le armi e le tecnologie militari di combattimento. Pertanto l’aggiornamento non solo è previsto, ma incoraggiato come miglioramento dell’insieme difensivo dell’individuo. Sono stato così in grado di ottimizzare questo stile con tecniche di Close Quarter Battle e di Kapap”

Ha mai ottimizzato specifici programmi di difesa?

“Certo. Posso citare il caso di un gioielliere di circa 60 anni. Questo professionista doveva spostarsi con un campionario di valore in una valigetta ventiquattrore. Aveva già dovuto subire dei furti e delle violenze da persone che sapevano della sua attività. Non aveva un fisico particolare, né una preparazione atletica di alcun tipo e, cosa non da poco, non intendeva averla. Il suo obiettivo era semplice: difendere il suo campionario. Ho così elaborato un programma di difesa personale in cui la valigetta potesse diventare uno scudo, un’arma, un diversivo, un vantaggio offensivo. Oggi quel gioielliere non viaggia con pistole o armi da fuoco con sé, ma con la consapevolezza di avere una risorsa straordinaria: la sua valigia.”

Possono i suoi insegnamenti essere terapeutici contro la paura delle aggressioni?

“Qui non rispondo positivamente solo io, ma anche gli psicologi. Proprio in questo periodo, una psichiatra mi ha proposto di seguire il caso di una ragazza che ha subito umiliazioni e violenze sessuali. La sua prima risposta è stata quella di chiudersi nella sua paura. Oggi stiamo lavorando per rafforzare il suo carattere, ripercorrere la sua brutta esperienza e rielaborarla in modo da poterla affrontare con uno spirito diverso. I suoi allenamenti sono indirizzati a fortificare il corpo ma, soprattutto, a creare quella determinazione che rende liberi dall’ansia e dal terrore. Sono assolutamente certo che, alla fine dell’addestramento, questa ragazza avrà un altro approccio con le persone e con i suoi timori. Del resto ai miei allievi lo dico sempre al primo giorno: ricordati di chi sei oggi, perché da qui uscirai come una persona diversa.”

Qual è la dimensione della sua federazione oggi?

“Contiamo parecchi istruttori IKMO in Italia e all´Estero. Ogni istruttore presenta una preparazione completa che si basa sulla multidisciplinarietà che unisce Krav Maga, Kapap e Systema. Organizziamo corsi istruttori e seminari per civili e militari in ogni parte del mondo. Da non dimenticare il settore security e intelligence di cui siamo leader”.

In Israele ha appreso anche altre tecniche di combattimento?

“Sì, dopo aver fatto addestramenti di varia natura, sono approdato al Kapap.
Se il Krav Maga era un’arte marziale per civili e militari, il Kapap era stato ideato solo per i reparti militari di elite. Del resto non si tratta solo di un sistema, ma di una miscela di rigorosi condizionamenti fisici, con addestramento con armi da fuoco ed esplosivi, allenamenti alla sopravvivenza e persino di insegnamenti di pronto soccorso avanzato. L´addestramento al combattimento a mani nude è una combinazione dei sistemi occidentali di combattimento come la boxe, la lotta greco-romana e l´addestramento militare britannico del coltello e del bastone.

Nel Kapap mi sono addestrato dal 2005 con un maggiore dei corpi d’élite dei servizi segreti israeliani. Questo ufficiale non insegnava al grande pubblico, ma solo a diciotto persone: io ero una di quelle. Si tratta di una preparazione molto tecnica; in alcuni aspetti assimilabile al Systema russo – anche se diverso – molto settoriale con molte più armi. Molti addestramenti avvenivano con armi da fuoco. Ad esempio, ricordo l’addestramento con le pistole, in un poligono dove dovevamo affrontare un militare con un’arma carica di fronte a noi. Noi facevano un disarmo molto veloce e questa persona sparava. Sparava colpi reali e non era una simulazione. Non si era avvisati di questo e ci si accorgeva che l’arma era carica perché si sentiva fischiare i suoi proiettili vicino al proprio corpo.

Un altro addestramento molto interessante era quello in cui si dovevano eseguire un centinaio di piegamenti sui pugni. Naturalmente si era già provati per altri esercizi precedenti, ma gli istruttori continuavano a spingerti a fare nuovi piegamenti fino a raggiungere le centocinquanta flessioni sulle nocche.
Quando si era assolutamente esausti, gli istruttori estraevano la loro pistola carica e la puntavano alla tempia: il risultato era che tu ne facevi trenta in più. Come dire… con un certo condizionamento mentale puoi fare quello che vuoi. Il freno del corpo è la mente. Oggi, organizzo corsi da istruttori di Kapap pensati esclusivamente per specialisti del settore sicurezza.
Gli addestramenti cui sono stato sottoposto sono stati del tutto particolari con modalità estreme in situazioni limite. Ho imparato ogni tipo di lotta a terra e l´uso di qualsiasi tipo di arma da fuoco. Per questa ragione, oggi sono un´ istruttore in grado di allenare operatori della sicurezza, militari, professionisti.

Quanti incontri di Kapap è riuscito a vincere?

"Vediamo di chiarire bene questo punto. Il Kapap non è pensato per essere un gioco, né un´arte elegante. Pertanto, non ci sono gare o campionati. Gli scontri durano attimi e nulla hanno a che fare con simulazioni o esibizioni spettacolari.
Gli addestramenti si eseguono sotto stress, spesso simulando ferite o gravi impedimenti nei movimenti. Ad esempio, si combatte spesso con un braccio legato oppure ammanettati.
In questa tecnica si impara a combattere per la vita, non per una medaglia o una cintura."

Che cosa intende per "combattere per la vita"?

"Gli istruttori israeliani raccontano spesso un aneddoto relativo a un campione di Kick boxing americano. Il noto sportivo, a New York, aveva scoperto un malvivente sul fatto, proprio mentre gli stava rubando l´automobile. Grazie alla sua prestanza fisica e alla sua abilità di combattente era stato semplice per lui atterrarlo a pugni. Tuttavia, l´atleta, consapevole della sua superiorità, si era distratto nel guardare i danni subiti dalla macchina e, avendo voltato le spalle all´uomo a terra, non si è potuto accorgere della pistola che il ladro ha estratto, né si è reso conto del colpo che lo ha ucciso perforandogli la testa. Qual è il significato di questa storia? Significa che non basta soddisfare il proprio ego, non basta sentirsi il più forte, il vincitore. Occorre conoscere i rischi e mettere in atto tutte le strategie di difesa per salvare la propria vita: strategie che possono andare dal semplice "chiedere aiuto urlando al fuoco", alle più sofisticate tecniche di disarmo.

Torniamo ai suoi addestramenti. Come è approdato alle tecniche di difesa russe?

“Durante uno di questi campi di addestramento, ho incontrato un istruttore che proveniva dalla Georgia, ex Unione sovietica. Avevo subito notato l’efficacia dei suoi colpi e gli ho chiesto di praticare intensamente insieme. Per due giorni interi non sono riuscito a capire quale tipo di strategie e comportamenti stesse utilizzando. Vedevo azioni che erano completamente diverse e faceva cose che non rispecchiavano alcuna tecnica marziale a me nota.
La comprensione non era solo ostacolata dalla lingua, ma anche dal carattere di questa persona che – essendo particolarmente introversa – non faceva trapelare nulla in merito alla sua preparazione, alla sua storia o alle sue emozioni.
L’unico punto di incontro erano i nostri… scontri. Infatti, combattendo con lui riuscivo rapidamente ad apprendere le sue tecniche e le sue movenze. Il terzo giorno ero già in grado di capire alcune tecniche e a volte atterrarlo. Solo in questo modo sono riuscito a conquistarmi la sua stima e la sua disponibilità a insegnare.
Solo a questo punto mi disse di cosa si trattava di un sistema russo perfezionato dalle guardie del corpo di Stalin. Il suo nome era: Systema.
In questo “Systema” non esistevano tecniche, forme particolari come nei “kata” del karate, ma si trattava solo di un sistema di difesa adatto per il corpo umano.
Nelle arti marziali ci si allena con tecniche, movenze e spostamenti di base. Nel Systema russo prima di tutto c’è il corpo del praticante; qui si diventa esperti nei colpi base per poi allenarsi con un sistema analitico e pragmatico basato sulla riflessologia, sulle fattezze, sulla gestione del combattimento a livello biomeccanico.
Spiegato in questo modo è però molto più difficile rispetto alla semplicità della sua pratica. Vedere per credere.”

Come è nato storicamente Systema?

“Come in tutte le vicende russe, la segretezza imposta dai governi sovietici durante la guerra fredda non aiuta a tracciare un quadro chiaro della storia di questa disciplina. Probabilmente, si tratta del perfezionamento di antiche tecniche di combattimento dei Bogatyr, ovvero dei mitici cavalieri erranti vissuti durante il periodo medioevale. Il fatto che dovessero affrontare molte tipologie diverse di nemici in un territorio che presentava situazioni climatiche estreme, ha reso leggendario la loro belligeranza.
Certo, durante la guerra fredda, i comandi russi avevano sentito l’esigenza di studiare scientificamente un approccio marziale in un sistema fondato sulla biomeccanica dell’uomo perfettamente reale. Quindi un approccio non più elaborato sulle movenze degli animali come, ad esempio, avviene per il Kung Fu.
La guardia scelta di Stalin praticava il Systema che, alla morte del dittatore, è stato poi insegnato anche agli altri corpi militari. Solo con la caduta del muro di Berlino, tuttavia, ha potuto diffondersi anche da noi.
In particolare, sono stato molto recettivo anche perché non mi sono mai occupato di politica. Lo dimostra il fatto che ho appreso tecniche di combattimento sviluppato su fronti opposti. Le mie ricerche sono, del resto, una passione che supera le barriere geo-politiche.

Quali altre tecniche ha scoperto in Russia che è riuscito ad approfondire?

“Negli ultimi viaggi che ho fatto, sono stato messo in condizione di praticare con alcune frange dei reparti speciali chiamate Spetsnaz. Questi corpi militari sono stati pensati durante il periodo di Stalin per affrontare le nuove modalità di guerriglia e gli scontri non convenzionali. Qui ho avuto modo di scoprire l´uso di un particolare tipo di coltello che, se lanciato con una certa perizia, ha una velocità pari o maggiore a quella di un proiettile e una precisione altrettanto accurata. Anche grazie a queste conoscenze sono stato in grado di sviluppare un mio stile particolare di combattimento che ho chiamato Systema Morabito, dove ho ottimizzato alcune tecniche derivate dal Systema russo sommandole con altre apprese durante le mie esperienze nel settore civile e militare."

Russi, israeliani, italiani… con quali altri corpi speciali ha lavorato?

"Posso citare anche i corpi antiterrorismo della polizia tedesca. Qui ho sviluppato, in particolare, le tecniche relative all´uso del Tonfa PR24, ovvero lo sfollagente adottato da questo corpo di sicurezza. Anche in questo caso, gli addestramenti sono avvenuti in ambienti estremi e sotto molto stress in modo da allenare questi operatori della sicurezza a situazioni di grave precarietà e rischio.
Ci tengo, inoltre, anche a citare il Generale Santiago Sanchis del corpo dei Marines americani che mi ha conferito il 6° Dan e ha riconosciuto a livello internazionale il Systema Morabito come tecnica di combattimento durante la Hall of Fame di Valencia del 2011, una manifestazione della massima rilevanza per tutto il mondo delle arti marziali."

A quali risultati hanno portato questi addestramenti tanto intensi?

“In primo luogo, devo dire che il mio corpo ha sviluppato una sorta di necessità per gli addestramenti. Se non pratico in palestra per un paio di giorni, avverto distintamente una sensazione di disagio del tutto paragonabile a quelli dell’assuefazione. I miei muscoli richiedono, con piacere, la loro “dose” di fatica quotidiana.”

“Il secondo effetto è difficile da descrivere. Oggi posso dire molto apertamente, di aver sviluppato il mio intuito nel combattimento. Grazie a questo tipo di intuito, del tutto istintivo, riesco a percepire i movimenti del mio avversario pochi istanti prima che il suo corpo agisca. Occorre dire che ho effettuato nella mia vita diversi addestramenti al fine di percepire un attacco con armi nascoste e attacchi a sorpresa o alle spalle. Anche grazie a questo tipo di allenamento, il combattimento può diventare un’esperienza che domino nella sua interezza. Le mie sensazioni si acuiscono e adotto un atteggiamento mentale – in modo automatico – di tutta calma.
Lo scontro con il mio avversario non è più un momento di ansia o di fatica. Al contrario, questo tipo di situazione diviene per me facilmente dominabile quasi non richiedesse la mia presenza. Il combattimento si oggettivizza in un evento esterno a me e io, come un regista, posso vederlo da una diversa prospettiva.
La fatica si riduce notevolmente, l’ansia scompare, la velocità raddoppia e i gesti sono semplici come quelli che si fanno quando si gioca con videogioco elettronico.
Si tratta di una sensazione che non sono riuscito a spiegarmi a fondo, ma – sono certo – si tratti di una cosiddetta “apicalità”, ovvero di un vertice, di un risultato straordinario ottenuto grazie alla mia passione per queste attività.”

Quali sono state le sue soddisfazioni più intense nel suo lavoro di insegnante?

“Posso citare il caso del mio allievo più giovane: un ragazzo di 16 anni, incapace di difendersi e così timido da non essere in grado di dire il proprio nome ad alta voce davanti agli altri. Vederlo oggi, dopo quattro anni, come affronta a testa alta gli altri istruttori e come gestisce il gruppo composto da persone più adulte di lui.
Oppure, ricordo volentieri il mio allievo più anziano: un uomo di 88 anni! Ho potuto vedere la sua soddisfazione dopo aver affrontato e fatto fuggire due malintenzionati che intendevano borseggiarlo.”

Quale tipo di riconoscimento può vantare in queste discipline?

“Il Krav Maga, così come le arti marziali orientali, si organizza secondo una gerarchia meritocratica che si esplicita in gradi chiamati Dan. Per quanto mi riguarda, dopo aver raggiunto tutti i possibili riconoscimenti in Israele, ho poi modificato le tecniche apprese fondando il Krav Maga Israeli Survival System. Si tratta di una naturale evoluzione delle tecniche da difesa prevista proprio dall’ideatore del Krav Maga. Difatti, Lichtenfeld aveva esplicitamente previsto che le tecniche evolvono così come evolvono le armi e le tecnologie militari di combattimento. Pertanto l’aggiornamento non solo è previsto, ma incoraggiato come miglioramento dell’insieme difensivo dell’individuo. Sono stato così in grado di ottimizzare questo stile con tecniche di Close Quarter Battle e di Kapap”

Ha mai ottimizzato specifici programmi di difesa?

“Certo. Posso citare il caso di un gioielliere di circa 60 anni. Questo professionista doveva spostarsi con un campionario di valore in una valigetta ventiquattrore. Aveva già dovuto subire dei furti e delle violenze da persone che sapevano della sua attività. Non aveva un fisico particolare, né una preparazione atletica di alcun tipo e, cosa non da poco, non intendeva averla. Il suo obiettivo era semplice: difendere il suo campionario.

Ho così elaborato un programma di difesa personale in cui la valigetta potesse diventare uno scudo, un’arma, un diversivo, un vantaggio offensivo. Oggi quel gioielliere non viaggia con pistole o armi da fuoco con sé, ma con la consapevolezza di avere una risorsa straordinaria: la sua valigia.”

I suoi allievi diventano tutti super-eroi?

“Assolutamente no. Al contrario: diventano loro stessi. Questo significa che possono decidere di affrontare la lotta, sopportare oppure reagire con la fuga.
Il caso di un mio allievo è finito sui giornali. Questo ragazzo si era fermato a Milano con un amico e stava tornando a casa dopo una serata. Sfortuna vuole che siano entrambi incappati in un gruppo di una decina di italiani male intenzionati. Accerchiati, i due sono stati aggrediti in un tentativo di rapina. Il mio allievo si è difeso come ha potuto, mentre il suo amico è stato sovrastato dai colpi e, cadendo a terra, il suo viso è diventato un bersaglio facile per i calci riportando gravissime lesioni su tutto il volto.
La situazione sarebbe peggiorata se due romeni non si fossero interposti per difendere i due malcapitati, facendo fuggire i delinquenti.
All’arrivo dei soccorsi medici e della volante, i poliziotti non potevano credere che il mio allievo fosse uscito indenne dallo scontro, viste le gravissime condizioni dell’altro ragazzo. Dunque, non un super-eroe ma un individuo in grado di salvarsi la vita con coscienza.”

Possono i suoi insegnamenti essere terapeutici contro la paura delle aggressioni?

“Qui non rispondo positivamente solo io, ma anche gli psicologi. Proprio in questo periodo, una psichiatra mi ha proposto di seguire il caso di una ragazza che ha subito umiliazioni e violenze sessuali. La sua prima risposta è stata quella di chiudersi nella sua paura.
Oggi stiamo lavorando per rafforzare il suo carattere, ripercorrere la sua brutta esperienza e rielaborarla in modo da poterla affrontare con uno spirito diverso. I suoi allenamenti sono indirizzati a fortificare il corpo ma, soprattutto, a creare quella determinazione che rende liberi dall’ansia e dal terrore. Sono assolutamente certo che, alla fine dell’addestramento, questa ragazza avrà un altro approccio con le persone e con i suoi timori. Del resto ai miei allievi lo dico sempre al primo giorno: ricordati di chi sei oggi, perché da qui uscirai come una persona diversa.”

Qual è la dimensione della sua federazione oggi?

“Contiamo parecchi istruttori IKMO in Italia e all´Estero. Ogni istruttore presenta una preparazione completa che si basa sulla multidisciplinarietà che unisce Krav Maga, Kapap e Systema. Organizziamo corsi istruttori e seminari per civili e militari in ogni parte del mondo Da non dimenticare il settore security e intelligence di cui siamo leader”

 

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